La cittadina dello jonio catanzarese ha ospitato, nei giorni, scorsi, un apprezzato e qualificato incontro – dibattito su “Cittadinanza attiva, solidale e responsabile per il bene comune. La testimonianza di don Pino Puglisi”, moderato dal giornalista Pietro Melia. L’iniziativa, promossa dalla locale associazione associazione di impegno socio-culturale  “Solidales”, guidata con passione e competenza da Saverio Candelieri, in collaborazione con la Commissione Diocesana “Giustizia, Pace e Salvaguardia del Creato”, ha riscosso successo e consenso, anche a giudicare dall’affluenza di cittadini che hanno gremito l’ampia chiesa parrocchiale. Da Saverio Candelieri è partito l’invito di istituire un tavolo con le varie agenzie educative del territorio all’insegna di quattro verbi: incontrare, accompagnare, comunicare, testimoniare”. L’incontro si è rivelato opportuno anche per la presentazione dell’ultimo lavoro su don Pino Puglisi, curato dall’arcivescovo metropolita di Catanzaro – Squillace monsignor Vincenzo Bertolone, la cui prefazione è stata curata dal cardinale Paolo Romeo, arcivescovo di Palermo. Un lavoro che ha il merito di gettare luce sugli aspetti che hanno determinato il riconoscimento del martirio di Puglisi “in odium fidei”, ovvero un odio criminale, da parte della Congregazione per le Cause dei Santi. “Puglisi – ha spiegato Bertolone, tra l’altro postulatore della causa – è un prete che fa il suo lavoro amministrando i sacramenti. Si impegna in tutte le opere di misericordia. Certo, predica anche contro Cosa Nostra, ma questo suo impegno contro il male non è la nota prevalente del suo ministero sacerdotale. L’avversione dei mafiosi si esprime quindi contro un sacerdote autentico, contro questo prete “senza aggettivi”: i mafiosi, con il loro rito di affiliazione, scelgono di appartenere a un padrino, non al Padre celeste”. Molto apprezzato anche l’atteso intervento di Giuseppe Savagnone, direttore dell’Ufficio per la Pastorale della cultura nella diocesi di Palermo e membro del forum per il Progetto Culturale della CEI.  Savagnone ha esordito  ammonendo  che “per onorare don Puglisi bisogna capire cosa ci ha insegnato e non ricordarlo e basta. I santi, i beati, diventano persone da venerare ma non devono rimanere lì fermi sugli altari. Lui era un uomo come noi, non era un eroe, il pericolo è che le nostre chiese siano luoghi dove si celebrano riti sacri e religiosi che però sono staccati dalla vita che c’è fuori. “Riconoscendo che il martirio di don Puglisi è avvenuto «in odium fidei» – ha detto Savagnone – è stata messo in luce l’unilateralità di questa lettura della figura e dell’opera del prete di Brancaccio.  Ciò che egli ha detto e fatto, ciò per cui è morto, non è mai stato altro che il Vangelo. Per questo è stato ucciso, proprio lui, che non era affatto il classico “prete anti-mafia” e che perciò non aveva scorta e non veniva considerato da nessuno “in prima linea”. Invece lo era, proprio perché svolgeva in tutta la sua pregnanza e il suo significato il proprio ministero di presbitero. Egli viveva la sua missione al servizio dei più emarginati, dei più deboli, di tutti coloro che non hanno voce, non “sebbene” fosse prete, o “accanto” al suo essere prete, ma “perché” prete, in nome di quel Dio che, facendosi uomo tra gli uomini e povero tra i poveri, ha reso sacra la fragilità umana”. A ruota un’altra preziosa testimonianza, quella di suor Carolina Iavazzo, già  collaboratrice di padre Puglisi nelle attività del Centro “Padre Nostro” del quartiere di Brancaccio e da anni impegnata a Bovalino, nella diocesi di Locri-Gerace. Nel corso della convention, i giovani dell’associazione Solidales hanno curato un momento artistico dedicato al tema della serata, mentre l’attrice Anna Maria De Luca ed i giovani dell’Istituto Comprensivo “Mario Squillace” di Montepaone e del Laboratorio di Teatro Classico del Liceo dei Salesiani di Soverato hanno letto alcuni brani tratti dalle lettere di don Puglisi.

[box type=”info”] articolo di Gianni Romano[/box]

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